Buon compleanno a me

Rientra accompagnando il passo cadenzato con un movimento impreciso e preoccupante della testa.
Una mano nervosa aggiusta il colletto della camicia che si ostina a spuntar fuori dal camice bianco e ben stirato.
“Non è rimasto molto da fare”- dice con quel tono greve e impassibile di chi di esperienza ne ha fatta troppa per lasciarsi coinvolgere ancora dalle emozioni.
“Capisco”- la sedia dell’uomo sedutogli di fronte gratta sul pavimento mentre fa per alzarvisi.
Nessun gesto di tacita solidarietà, nessuna rassicurazione, nessuna speranza.
Niente eccetto una voragine al centro del pavimento lucido.
E lui che vorrebbe chiedere alla figura impettita ancora in piedi davanti alla porta di spingerlo giù, di guardarlo sparire senza muovere un dito, senza dire una parola.
Il ghigno di disperazione appiccicato sul suo viso si trasforma in rabbia, paura e, infine, consapevolezza.
Le poltroncine non si stanno allontanando, la macchia bianca è ancora immobile, non sta muovendo un passo.
Sono sempre state vicine, era lui ad esserne lontano.
Il terreno trema, ma lui non è più lì. Anche l’abisso sembra un puntino impossibile da raggiungere dal luogo in cui è adesso.
Respira nel buio.
Respira.
Chiude gli occhi.
Respira.
Respira.
Nella mente prende corpo la canzoncina di auguri cantata da quella Marta dalle labbra piene e morbide il giorno del suo sedicesimo compleanno quando quella sembrava la sola vita valesse la pena mordere.
Dondola il capo lasciando fuggire parole sorprese e indispettite da quella voce rauca ed emozionata.
“Buon compleanno a me!”
Sorride.
È ora.
Strizza forte gli occhi.
Li riapre.

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